“Quella vecchietta cieca, che incontrai
la notte che me spersi in mezzo ar bosco,
me disse: – Se la strada nun la sai,
te ciaccompagno io, ché la conosco.
Se ciai la forza de venimme appresso,
de tanto in tanto te darò ‘na voce,
fino là in fonno, deve c’è un cipresso,
fino là in cima, dove c’è la Croce…
io risposi: – Sarà… ma trovo strano
che me possa guidà chi nun ce vede…-
La cieca allora me pijò la mano
e sospirò: – Cammina! – Era la Fede.”
Questi versi, in romanesco, furono scritti da Carlo Alberto Camillo Salustri (1871-1950), poeta, scrittore e giornalista conosciuto con lo pseudonimo di Trilussa, e papa Giovanni Paolo I li utilizzò in una delle udienze del suo brevissimo pontificato, in Sala Paolo VI, nel settembre del 1978, per parlare della bontà del Padre celeste che non abbandona mai le sue creature, anzi, provvidenzialmente, li accompagna lungo il corso dell’intera esistenza.
Pochi versi, scritti con il linguaggio materno, quello che sa esprimere, con potenza inimmaginabile, le profondità e le sfumature del nostro vivere, rendendole chiare all’intelligenza e al cuore.
Come dicevamo nella riflessione pubblicata nel mese di febbraio, solo la creatura umana è sensibile alla trascendenza, ovvero a quella capacità di indagare sul senso della vita e a leggerlo sotto la luce dell’invisibile e del divino.
Trilussa mette in campo gli elementi della notte e del bosco come similitudine della vita umana nella quale afferma di essersi “perso”, di aver smarrito la strada in una notte oscura. Nessuno di noi nasce attrezzato per affrontare le vicende della vita e per risultare vincitore sulle avversità; solo nel tempo la vita con tutte le sue vicende ti rende capace a vivere, ma resta comunque un elemento da considerare per evitare di “naufragare” o “perdersi” lungo il corso della vita: un elemento al quale ancorarci per restare saldi nei momenti difficili del nostro vivere: questo elemento, ricorda Trilussa, è la Fede.
La Fede, vecchietta cieca, si dichiara capace di vedere anche quando ti perdi nel bosco della vicende della vita ed è buio pesto, l’importante, dice ancora la vecchietta cieca, è lasciarsi prendere, con fiducia, per mano in una sorta di affettuoso accompagnamento. Il poeta, però, si frena e si interroga sulla reale capacità della vecchietta di guidarlo verso la meta e questo è il dubbio che la “ragione” gli pone come insormontabile. La ragione non ha nessuna prova positiva per affermare che la Fede dice la verità e le verità che ella propone non sono verificabili per assenza di prove positive. Talvolta ci si ferma a questo punto: il dubbio interroga la “ragione” ed essa archivia la Fede dall’orizzonte per “mancanza completa di prove”. Ma la Fede resta, nonostante tutto, una “necessità” del cuore per comprendere ciò che la ragione esclude o accantona non potendo giungere ad una risposta. Resta una “necessità” di fronte al senso compiuto della vita dalla sua origine al suo fine ultimo proponendosi, alla fine, come “Fede ragionevole” alla ragione stessa.
La Fede, per il credente, resta il dono del Dio all’uomo per aiutarlo a percorrere i sentieri della vita e per riconoscere il traguardo finale simboleggiato da Trilussa nell’immagine della collina alla fine del bosco.
Mons. Arnaldo Greco, Assistente spirituale
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