Festa del Corpus Domini

L’imperatore pagano Antonino Pio (138-161) chiese a San Giustino martire informazioni riguardo lo svolgimento della celebrazione eucaristica. Siamo ancora lontani dal decreto di Costantino che renderà libertà alla religione cristiana e da quel 380 che vide la stessa religione riconosciuta come la Religione dell’Impero; i seguaci del Nazareno passano da periodi di tranquillità e di relativa libertà di culto a periodi di dura persecuzione. La testimonianza di San Giustino risulta importante perché, rispondendo a una richiesta imperiale, descrive lo svolgimento di quella che viene chiamata “Eucharistein” (Lc 22,19; 1Cor 11,24). In breve, la risposta pervenuta fino a noi elenca i passaggi dell’incontro dei credenti nel giorno “del Sole” (termine rimasto nella lingua inglese con la parola sunday, in tedesco Sonntag): letture degli Apostoli o Profeti; commento e ammonizioni; preghiere a favore dei presenti e assenti ovunque si trovino; bacio di pace; presentazione di un pane e di una coppa con vino temperato; rendimento di grazie da parte del preposto (Eucharistian); acclamazione dell’Amen; segue la distribuzione del pane e del vino e invio di una parte di questi agli assenti impediti o malati (ricordiamo San Tarcisio…); congedo.

Sono passati diciannove secoli e lo schema dello svolgimento di quella che noi chiamiamo “Messa” è rimasto lo stesso. Personalmente questa continuità della celebrazione mi affascina perché fa trasparire che la Messa, Eucaristia, pur essendo celebrata da uomini, è e resta “roba di Dio”, non semplice azione di uomini.

Quando, nel giorno del Signore, sotto la presidenza del celebrante, la comunità credente si riunisce, essa non compie una azione meramente orizzontale, quasi sociologica, che la mette in relazione con il mondo; essa, comunità compie una azione che la connette direttamente con il trascendente, con il divino, l’intera comunità presente si unisce alla liturgia del cielo e anticipa la vita eterna, quando Dio sarà tutto in tutti inglobando l’intera storicità umana con le sue ansie, problemi e aspirazioni (1Cor 15,28). È il grande mistero di quella cena che il Signore celebrò due volte sulla terra il Giovedì Santo e la domenica sera con i due discepoli detti di Emmaus quando riconobbero il Signore risorto dallo spezzare il pane. Quella Cena è stata messa nelle nostre mani, o meglio nelle “mani della Chiesa”, per rendere presente il Cristo risorto in mezzo a noi in ogni tempo e in ogni luogo come Egli aveva espressamente richiesto: «Fate questo in memoria di me!».

Oltre a questa dimensione trascendente, che rimane presente e in qualche modo “nascosta” nei gesti e nelle parole, l’Eucaristia diviene «fonte e apice di tutta la vita cristiana» (Lumen Gentium, 11) e lo diviene perché «Tutti i sacramenti, come pure i ministeri ecclesiastici e le opere di apostolato, sono strettamente uniti alla Sacra Eucaristia e ad essa sono ordinati. Infatti, nella Santissima Eucaristia è racchiuso tutto il bene spirituale della Chiesa, cioè lo stesso Cristo, nostra Pasqua» (Presbyterorum Ordinis, 5).

I concetti appena espressi non sono sempre percepiti anche dagli stessi credenti! Consideriamo la disaffezione che la stragrande parte dei battezzati ha nei confronti della Messa domenicale, percepita più come un obbligo, come un optional, che per quello che Essa è: il mistero della presenza del divino sulla Terra, nel quale poterci immergere e nuotare con lo spirito.

Nella nostra società secolarizzata e anche nella stessa vita dei credenti – molte volte contagiata da una sorta di razionalismo e modernismo che va a discapito di una sana esperienza spirituale – il “Mistero Eucaristico” assume sempre il significato di una sana provocazione che obbliga a considerare il trascendente come una necessità della parte più intima e profonda della persona umana dalla quale non si può, in definitiva, fuggire.

Nei secoli, il sano realismo di Dio riguardo la natura umana – redenta sì dal sangue di Cristo, ma anche ferita dal peccato dell’origine e ancorata a una consistente terrestrità – ha inviato “messaggi”, messaggi che vanno letti in sinergia tra ragione e fede. Essi sono i cosiddetti “miracoli eucaristici”. Ricordiamo il miracolo di Lanciano del 750 e, a mio avviso, il più straordinario, quello di Bolsena del 1263, dal quale trae origine la solennità del Corpus Domini, ma anche, tra i tanti antichi e recenti, quello di Gruaro-Valvasone del 1294, unico miracolo eucaristico presente nelle Tre Venezie, e ancora visibile anche se mai indagato dalla scienza.

Dicevo del “sano realismo di Dio” perché l’uomo per sua natura ha bisogno di segni, ma anche di affrontare questi segni rispondendo ai bisogni di razionalità e di mistero che sono le due componenti della stessa natura umana.

Dio, nella sua provvidenza, invia queste “parabole” lungo lo svolgersi della storia, parabole fatte di segni e non di parole; segni silenziosi sì, ma eloquenti per stuzzicare la ragione e suscitare la meraviglia della Sua esistenza e della Sua presenza provvidente nella storia dell’intera umanità.

Mons. Arnaldo Greco, Assistente

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